2014

​Nel 1964 André Chastel coniò la definizione di “Umanesimo matematico” a proposito dell’ambito rinascimentale urbinate, quello in assoluto più strettamente connesso alle arti. A tale definizione sembra richiamarsi l’opera di Giovanni Bellantuono da Fano, città la cui antica appartenenza ai Malatesta e Montefeltro si perpetua in interessanti comunità artistiche come l’”Accolta dei quindici”, che celebrò la prima mostra il 21 luglio 1946 come segno d’amore per Fano ferita dalla guerra. 
​Le opere di Giovanni Bellantuono, che ai “Quindici” appartiene, sono “progettate “ e “costruite” con un rigoroso e profondo senso geometrico e simbolico della realtà, inserendosi nel chaos contemporaneo quale elemento ordinatore. Composizione geometrico-simmetrica, scelta accurata degli elementi, trattamento prezioso delle superfici, espressione simbolica, trasmissione sinestetica del significato, colore: Bellantuono propone “oggetti” privi di titolo secondo una sua precisa volontà sintetica. La composizione geometrica si fonda su di un gioco di presenze e di assenze che rimandano alla prospettiva quale misura del mondo, laddove la scelta degli elementi esprime la centralità del sapere, ripercorrendo i principali momenti della civiltà dell’uomo: la piuma dello scrittore, la carta della pergamena, il carattere del tipografo. La foglia simboleggia la centralità della Natura, che procede per il suo cammino indipendentemente dall’incidente umano, mentre l’uomo-artista è collocato in basso, in posizione  di solitaria reverenza nei confronti di un universo “ordinato”. L’uovo riporta invece alla memoria la “Pala Montefeltro” (1496), la magnifica costruzione prospettica che Piero della Francesca dipinse per Federico ponendo al culmine l’uovo di struzzo quale misura dell’Universo. Altrettanto importante è la raffinata finitura, con l’oro che ricopre le componenti materiche (legno e metallo), portando alla memoria il prezioso trattamento di autori rinascimentali (vedi la Madonna con Bambino di Luca Signorelli, 1505-07). Infine il colore: le tinte, solo a volte primarie, non celano ma assecondano la trama grafica geometrica, “vestendo” l’opera come i sontuosi abiti delle protagoniste dell’arte italiana del secondo Cinquecento. Una presenza, quella di Giovanni Bellantuono, che vale quale testimonianza delle capacità dell’uomo di trovare dentro di sé la rotta nel disordine della vita contemporanea testimoniata dalla “mitica” bottiglia di Coca-Cola, accolta e metabolizzata in una nuova ed eterna classicità

Raffaele Giannantonio


​Fernanda Trozzi (Montesilvano, PE), presente da quasi un ventennio sulla scena artistica nazionale con numerosi premi e riconoscimenti, espone in questa mostra oltre 20 opere della sua produzione recente – dipinti ad olio e con tecniche miste, anche di grande formato – che affrontano il tema del colore e della sua funzione attraverso la scelta figurativa del mare, dei suoi paesaggi, delle sue creature, interpretati con un dolce espressionismo mediterraneo. L’inaugurazione si terrà sabato 6 dicembre alle ore 18 con la presentazione critica del Prof. Massimo Pasqualone. Scrive Pasqualone concludendo il testo che accompagna l’evento:(..) Fernanda Trozzi, profonda conoscitrice anche delle tecniche della poesia, utilizza nell’arte figure retoriche care alla poesia: le figure allora si immergono nel colore, i protagonisti che osservano il mare in realtà vivono la vita, con gli effetti ottenuti attraverso preziosi bilanciamenti cromatici dei colori puri che creano un delicato inno alla gioia, anzi gli accostamenti cromatici sono essi stessi sprazzi di gioia e di felicità, eudaimonia di un’artista che ha raggiunto attraverso l’arte una pace, una quiete interiore, insomma quella felicità che solo l’arte sa dare. Da significare inoltre una precipua dimensione onirica, quel sogno come infinita ombra del vero (..), dimensione tesa allo svelamento della realtà, che l’artista percepisce attraverso una frammentazione spaziale capace di cogliere l’attimo, il momento, direi il frammento, perché, con Hegel, la verità è nel frammento. 
L’artista sa benissimo che la realtà non è mai quella che si vede, e lo dimostrano le figure femminili che mantengono, nonostante gli influssi della contemporaneità, una eleganza classica, quasi una solennità antica, perché la bellezza le attraversa, ed attraversa i secoli, ricordando a tutti gli abitanti del tempo la caducità delle loro esistenza.


Workshop condotto da Claudio Cantelmi
Sabato 29 novembre 2014 ore 11,00 
Liceo Artistico “Gentile Mazara”
Via E. De Matteis – Sulmona
Il Laboratorio d’arte MAW, in collaborazione con lo Studio Fabio Mauri – Associazione per l’Arte L’Esperimento del Mondo ed il Liceo Artistico “G. Mazara” di Sulmona propone un workshop sul libro di Claudio Cantelmi On Screens – Homage to Fabio Mauri 1926-2009.
Un libro ma anche un oggetto d’arte che ci accompagna nell’esplorazione dell’opera di Fabio Mauri e del mondo del libro d’artista.
Schermo-Disegno (1957), Disegno schermo fine e Schermo con pubblico (1962) sono le opere di Fabio Mauri che hanno ispirato questo schermolibro. Con le parole The End e Fine, la fascia nera, lo schermo nero con angoli arrotondati e le sagome nere del pubblico, serigrafati su acetati e collocati su ogni pagina, è possibile comporre le opere citate, ma subito dopo scomporle, voltando le pagine, componendone di nuove e dando così vita a libri e opere sempre diversi. Ed ecco che lo schermolibro si trasforma in uno schermocubo, schermoplastico o schermodinamico.
Il laboratorio condurrà ogni partecipante a realizzare un proprio libro d’artista ispirato alle opere di Fabio Mauri attraverso l’utilizzo di tecniche semplici e di un meccanismo articolato ma non complesso accessibile a tutti.
Nel pomeriggio, presso lo Spazio Maw di Via Morrone 71, ore 18, seguirà la presentazione del libro e la mostra degli elaborati del workshop.
Claudio Cantelmi, allievo e assistente dell’artista Fabio Mauri, oggi collabora con lo Studio Fabio Mauri Associazione per l’Arte L’Esperimento del Mondo e insegna Arte e immagine all’Istituto comprensivo Alberto Manzi di Roma.



 Sostare sul confine
E’ dall’oscurità che sfuma nel chiarore del giorno, è dalla veglia più lunga quando varca la soglia del sogno che nasce la pittura di Marco De Angelis. Passaggi. Transizioni dello sguardo e della mente a penetrare confini, ad esplorare la dualità molteplice e permanente in cui si imbatte ed evolve il percorso dell’uomo. Sospendendo la scelta, però; scegliendo il margine tra i mondi delle opposizioni, spazialità labile e inattesa, nella quale è necessario sostare.
Se l’esperienza del limite è connaturata all’esistenza umana, De Angelis se ne fa coscienza vigile e visionaria che si addentra nei significati perduti, nella sostanza sfuggente eppure reale della sua dimensione più profonda, che ci invita a riconoscere con lui: il limen – la frontiera, l’ingresso – luogo ideale della trasformazione; il punto della soglia, ritrovato nella consistenza di spazio sacralizzata nelle più antiche culture, “tempo” vero della conoscenza, del giudizio, della risoluzione, nel quale configuriamo il nostro destino. Vicino al suo orizzonte, il limite è area indefinita ma certa di libertà, di timori, di occasioni, dove un territorio e l’altro sfumano i propri contorni ma più chiara è la visione. Fermarsi, avanzare: si può scegliere, incontrando la soglia, di percorrerla dentro, abbandonandosi alle possibilità espansive offerte alle nostre risorse. Questa la sensibilità veggente e l’urgenza dell’artista che al tema del passaggio ha consacrato da molti anni la sua ricerca, informandovi lo stesso studio tecnico e formale. Così, i colori velati e mutevoli dei paesaggi, soggetto ricorrente in ampie serie di opere, non segnano solo la sua fascinazione verso fenomeni ottici peculiari ma sono fissa meditazione sulla luce che incontra la sua assenza. E le foschie, che con sapienza di procedure – che siano le stesure liquide o le sfregature dei pastelli –, svaporano le linee di separati universi, profilano il fermo invito ad attraversare, ma tardando il cammino, seppure avvolti dalla bruma: il sogno divinatore che ci permette di vedere.
Un percorso difficile, senza uscite sicure, quello di De Angelis, che proprio nel ricorso alla sfocatura dichiara che il suo impegno non è situato all’interno di una mera riflessione stilistica, che pure lo coinvolge, o di portato simbolico. La sfocatura è scelta di più complessi effetti per i quali l’immagine si carica di nuovi contenuti che accedono direttamente ad una dimensione altra.
Eventi accadono quando si passa la soglia, sospesa è ogni opposizione: la contemplazione sa addomesticare i fenomeni, aiuta la direzione, che le sembianze degli incontri abbiano il volto di paralizzanti fantasmi (La llorona), di dolorose memorie (Prospettiva Nicolajievka), o di ombre incantatrici affioranti dalla reminiscenza (Canto nel dormiveglia). Percorsi di un lavoro psichico e del colore particolarmente concentrati, nell’ultimo periodo, su esperimenti che accennano ad imprevisti esiti di luce e di distensione, dopo le molte prove dell’ombra (Terra, mare, sole, aria; Nudo; Oltre la casa bianca). Può accadere, se il passaggio è guidato; se la soglia ha i suoi benevoli custodi. Ed ecco allora le maschere dai bordi aperti verso lo spazio, le argille come abbozzi ingranditi (I Guardiani della soglia), materia del sogno generata dall’artista che alla scultura si rivolge come ulteriore dispositivo in cui cercare l’equivalente della sua ricerca pittorica. Ora la zona insidiosa e affascinante del confine è protetta, eschatià  percorsa dai suoi indicatori sacrali. E deciso, ma soave e struggente, il richiamo di Marco De Angelis, messaggero di un altrove che parla alla nostra sostanza terrena per ricordarci la storia celeste della sua dimensione.

Italia Gualtieri    



Autore eclettico e appassionato, Giancarlo Guzzardi presenta in questa occasione una delle sue produzioni più intense: 36 ritratti scelti nell’arco di oltre trent’anni di impegno fotografico, nei quali la passione per la figura si coniuga ad una sottile ricerca estetica e sensoriale a testimonianza di un irrinunciabile bisogno poetico ed esistenziale. “…Non ho mai mostrato interesse per un tecnicismo esasperato, il mio scopo è piuttosto quello di ricreare nella fotografia ciò che cattura l’anima, le impressioni, le emozioni, i sogni, le visioni, ciò che nella vita ordinaria e quotidiana spesso non trova più spazio”. Così la scelta di Giancarlo, che dirige il suo sguardo alle persone e ai volti, al corpo, ai suoi gesti, ai suoi vissuti: sorgenti vitali della nostra sensibilità più nascosta, restituiti di volta in volta con stili differenti, uso di strumenti e ambientazioni diverse, scritture sensibili ad antiche e nuove seduzioni dell’arte. Vivono allora i momenti senza tempo di El Fayum (2012) o de L’infanzia (1984), le reminiscenze penetranti e sfuggenti di Swing (2012) o di Memories of Isfahan (1983), le presenze “lontane” di Diana (2002), Akropolis (2012) e Charme aware (2012). Muti miracoli dell’inconscio e di un fotografo che ama la pittura, intrigato, nello stesso tempo, dalle frontiere visive offerte dalle nuove possibilità di elaborazione delle immagini.
Una conferma della realtà poliedrica delle espressioni contemporanee che rafforza l’impegno di MAW per un avvicinamento sempre più forte e reciproco tra il pubblico e chi crea Arte.


Opere di diverso genere e formato, molte in mostra per la prima volta, si snodano libere nello spazio espositivo come un paesaggio di cose, mutevole e articolato e tuttavia interconnesso, a rivelare quella verità del mondo naturale che l’artista dichiara e persegue con la sua ricerca.
I “graffi” materici della serie Di-segni e Di-terra non raccontano ma vivono, totalmente se stessi in tutta l’energia delle fuliggini, delle terre, delle polveri che li formano.
I Ritratti ambientali sono compenetrazioni estetiche e affettive di corpi e di luoghi, di figure e atmosfere dove la fotografia, filtrata dall’arte, si nega alla cattura dell’identità-radice, “che inevitabilmente ci renderebbe prigionieri del passato”, per affermare il valore del soggetto nella sostanza della sua essenza.
Nelle Isole, un banale sasso trasposto in un contesto che lo “isola”, diventa forma irradiante un senso sconosciuto di grandezza.
​La biologia, la geologia, la botanica sono le fonti ispiratrici di Antonucci, e quindi il paesaggio, le essenze vegetali, gli odori, gli esseri e le piccole forme dal cui contatto, come lui stesso afferma “…residuano opere che narrano un’emozione o un impeto vitale …”. Così lo spettatore è chiamato ad interagire con esse in un percorso in cui materie e significato si “toccano” per creare una pausa, una spinta al fantasticare, nel fluire incessante del vivere, per una possibile restituzione di senso alle cose, che noi abbiamo smarrito.



Il Laboratorio d’arte MAW Men Art Work presenta TWINS, mostra personale di illustrazione di Gemma D’Amato, dal 12 al 22 aprile 2014, a Sulmona, nel suo spazio di Via Morrone 71. La mostra, che sarà inaugurata sabato 12 aprile alle ore 18,30, espone 20 tavole dell’esordiente sulmonese che sperimenta tecniche classiche e tool di grafica digitale come modo di espressione per rivelare su sottili supporti – fogli di carta e pellicole di pvc – l’universo delle sue emozioni più profonde.
 …pensieri e stati d’animo si staccano all’improvviso da me ed entrano nella matita, che li traduce in una sembianza in cui mi ritrovo. Ma la figura solitaria che si materializza sul foglio è subito affiancata da un doppio che le sta accanto, che colma il suo spazio vuoto, la sorregge, a volte confuso con il suo stesso corpo, dal quale entrambi sembrano scaturire. Non c’è dualismo. Sembrano due, ma difficilmente si differenziano. E’ quello che nella vita ho la fortuna di vivere con i membri della mia famiglia, soprattutto con le donne. 
 Così parla del suo lavoro Gemma D’Amato, grafica, formazione presso l’Istituto d’Arte cittadino e all’Accademia di Belle Arti di Viterbo, dove si specializza in Grafica e Fashion Designer, da sempre implicata in un discorso personale di ricerca, visivo e poetico, sulla comunanza estrema dei gemelli, entità con qualità diverse ma necessarie alla costituzione della realtà. Il Laboratorio d’arte MAW, aperto alla realtà poliedrica delle espressioni contemporanee consolidate, così come all’ascolto delle pratiche artistiche più giovani, ha scelto di ospitare e curare questa personale a conferma della sua vocazione di spazio-officina per un avvicinamento sempre più forte ed aperto tra il pubblico e chi crea Arte. L’artista sarà presentata da Annalisa Civitareale, giornalista. Il vernissage della mostra sarà arricchito da un’installazione a tema di Kurtz.